vedi tutti

Che strada fare per arrivare alla partenza della maratona? Il problema non me lo sono proprio posto perché avevo la certezza che sceso nella metropolitana, anche all’alba, avrei individuato molti, molti miei altri inequivocabilmente simili diretti nel medesimo posto. Così è stato, prima un rivolo di runners poi un torrente e un fiume fino ad un oceano multicolore di fronte al reichstag e poi alle griglie di partenza.
Anche dopo il via e per buona parte del percorso il mio leitmotiv tattico è stato quello di seguire qualcuno, dapprima per necessità nel flusso della corrente dei primi km poi per più comodo riferimento. La prima fin troppo ovvia scelta è caduta su una bionda dalle lunghe gambe, abbigliata adeguatamente ad una calda giornata di sole, di cui potrei dire molto sui glutei ma nulla del viso. Purtroppo nessuno è perfetto e dopo poche centinaia di metri si rivelava inidonea come ritmo e regolarità di corsa e mi vedevo costretto a volgere lo sguardo altrove. Individuavo pertanto un alto finlandese (maglia biancoazzurra marchiata ovunque suomi) che certamente avrebbe saputo dirigersi nel flusso dei restringimenti che si andavano incontrando. Apprezzabile nell’azione podistica mi costringeva tuttavia dopo un buon tratto ad un repentino cambio di scia con un paio di peti mefitici, forse effetto di aringhe non bene conservate. Tentavo allora con un altro corridore ugualmente alto, nerovestito e multiaccessoriato. In effetti aveva in vita una eccezionale cintura porta tutto da cui spiccavano tubetti di gel energetico delle dimensioni di quelli da dentifricio, consone alla stazza, e spugnetta. Questa probabilmente ed inconsciamente era la ragione della mia terza opzione di lepre. Infatti avevo appena scoperto che agli spugnaggi i verdi tedeschi dispongono solo bacinelle d’acqua e quindi che, come sulla easy jet con il paracadute e quant’altro, avrei dovuto portarmi da casa la mia di spugnetta (rosa a forma di paperetta). Anche in virtù della spugnetta penzolante come una carota (sono tentato di portargliela via ma sicuramente sarà allarmata), costui funziona egregiamente per diversi km e penso e spero di poter arrivare in sua compagnia all’arrivo, se non altro per chiedergli dove abbia trovato si fatta cintura quando, approfittando di un curva secca, si inframezza una ragazza non autorizzata. Un terzetto e la cosa ci potrebbe pure stare ma nella ressa di un successivo ristoro li perdo, no anzi spariscono proprio. Mentre penso che magari avrebbero potuto dirmelo apertamente, qualunche cosa sia tra loro, al ché mi sarei fatto da parte senza questioni, mi trovo in scia ad un gruppetto dove spicca un corridore nero, cui con grande curiosità mi approssimo, realizzando di aver visto finora pochi o nessun atleta di colore (tra l’altro in partenza ho dato generosamente un po’ di vantaggio a Kimetto e compagni). Polpacci, falcata e appoggi di un'altra specie rispetto ai bipedi caucasici si tratta di un vero pacer, no dico, proprio uno di quelli che fino alla mezza ha tirato il record del mondo e adesso prosegue, dopo aver dato l’anima e essersi fermato, probabilmente per defaticare al ritmo di noi umani.
E’ mio, mi incollo per una lezione su strada di come si corre, beneficiando pure della ricaduta degli entusiastici applausi che ne accompagnano il passaggio, come se un campione di calcio, sostituito dopo il primo tempo, si mettesse a palleggiare coi ragazzini in tribuna. Mi balena uno oscuro pensiero: metti che un benedetto fotografo riprenda l’azione, quegli scatti li pagherei a peso d’oro e ci farei una gigantografia da appendere in grande vista. E vedo pure la didascalia della gazzetta: Brambilla (Happy Runner Club) lotta tenacemente con il leone d’africa. Troppo bello, il pacer si prende una nuova pausa e non c’è nemmeno il tempo per il dubbio se fermarmi a farmi autografare il pettorale o a chiedergli di proseguire. Vedo già il titolo della gazzetta: Brambilla (Happy Runner Club) doma dopo titanica lotta il leone d’africa.
In ogni caso il mio ego podistico impropriamente si gonfia, cosi come mi avvedo che si ingrandisce la differenza (o dovrei dire lo spread, io italiano in terra tedesca) tra i km ufficiali e quelli segnati dal mio garmin. Al 30esimo km sono già oltre i trecento i metri corsi in più rispetto alla distanza di gara, evidentemente la linea ondivaga non paga e anzi presenterà inevitabilmente il conto. Tant’è che dal 37esimo km il corpo inizia a mandarmi vari segnali di Defekt, rimaterializzando per l’occasione il muro di Berlino sulla mia strada, con visioni di Angela Merkel che consegna dopo il traguardo le medaglie e a me dice: Brambilla tu brafo korridore ma no ti applica, no tira dritto, no rigoren, nein Medaille!
Al 40esimo km vedo raggiungermi e poi inesorabilmente sfilare oltre il gruppone tirato dal pacer delle tre ore. Osservo il palloncino viola allontanarsi e mi sento come il personaggio interpretato da Tom Hanks in Cast away, quando, naufrago, viene separato dalla corrente dal pallone cui aveva dato un volto e che lo sosteneva. Me ne faccio una ragione, d’altra parte se mi mettessi a gridare con disperazione Wilson! Wilson! i medici o paramedici che sorvegliano il percorso mi fermerebbero e mi porterebbero via a forza.
Infine alla porta di Brandeburgo, che non è la fine e che segna al mio cronometro le fatidiche tre ore, lo spread è salito a 400 metri: taglio il traguardo effettivo in tre ore zero minuti e quarantanove secondi. Con un po’ di spendig review si possono limare pure ‘sti secondi.
Comunque una disamina degli annali confermerà trattarsi del primo Brambilla nato negli sessanta a correre una maratona in tre ore, di fatto un record del mondo. Sulla gazzetta non se ne dice nulla …

(Nicola Brambilla)



01/10/2014


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