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Testo tratto dal Blog di Franz Rossi.

 

 

Io non c'ero, e non posso testimoniare.
Quindi tanto meno giudicare...

I fatti, per quello che si sa fin'ora:
Un trail, una gara di corsa in Natura, che si chiama Maremontana, giunta alla quarta edizione.
Il maltempo. Annunciato da giorni e puntualmente verificatosi, tanto che gli organizzatori hanno ridotto il percorso.
I volontari. Tantissimi. Lungo il percorso e ai punti di ristoro. Efficienti e disponibili.
I corridori. Quasi 600 iscritti. Tutti determinati ad arrivare.

E poi c'è Paolo Ponzo.
Un atleta (ex calciatore di buon livello), classe 1972, appassionato di corsa.
Il suo cuore cede durante la gara.
Gli altri corridori si femano e avvisano i soccorsi che arrivano dopo un paio di minuti.
Le condizioni sono disperate. Chiamano l'elicottero ma con il vento che soffia impetuoso non può alzarsi, allora lo caricano su una barella e lo portano a spalle verso la strada asfaltata.
Ci voglio due ore. 120 minuti di fango e massaggio cardiaco.
Arrivano all'ambulanza, arrivano all'ospedale.
Ma alle 21:30 Paolo Ponzo è morto.

Questi erano i fatti.
Adesso veniamo alle domande.
Perché è morto? I medici diranno se è stato infarto o ipotermia, e tenteranno di spiegare quanto l'ipotermia e le condizioni di gara hanno determinato l'infarto.
I magistrati dovranno indagare. Cercheranno di scoprire se gli Organizzatori avrebbero dovuto comportarsi in modo diverso, se le norme di sicurezza erano rispettate.

Poi c'è una domanda che in tanti si fanno.
Ne vale la pena? Tutti, ovviamente, risponderanno no. E aggiungeranno "ma..." (quell'incredibile parolina che partendo da una tesi ti permette di sostenere il contrario).
...ma almeno è morto facendo quello che gli piaceva
...ma quando il destino ci mette lo zampino
...ma è nella natura degli uomini sfidare i propri limiti

Io sono stanco di queste discussioni.
Non credo valga comunque la pena.
Ci siamo infilati in un vicolo cieco.

Amiamo correre in Natura, amiamo passare qualche ora tra amici.
I primi trail erano questo: occasioni di conoscere posti nuovi con persone che condividevano un certo spirito.
Questo sano atteggiamento ha attirato sempre più persone (che è un bene) e ha dato nuova linfa al movimento (che è un bene).
Sempre più persone hanno deciso di organizzare gare trail per far conoscere i loro monti (che è un bene).

Ma ad un certo punto, tutte queste cose positive hanno assunto una valenza negativa.

Ci sono più gare che weekend, ci sono le liste d'attesa per le iscrizioni.
E poi il concetto (sano) del conoscere i propri limiti è stato esasperato nella mentalità del superare i propri limiti.
Una gara da 30 km è definita corta. I trail si sfidano ad allungare le distanze. 60km, 90km, 160km, 330km...

E lo spirito trail è sparito.
Sepolto sotto i team, i record, le prestazioni, la filosofia del devo-farcela-ad-ogni-costo.

Torniamo alla gara di ieri...
Se fosse stato un trail autogestito (una gita tra amici) sarebbero stati molti di meno, ci sarebbero stati meno soccorsi e più affidamento su loro stessi.
All'arrivo del maltempo avrebbero deciso se andare o no; se continuare o tornare indietro; se seguire quel sentiero o optare per un altro.
Non significa che Paolo Ponzo non sarebbe morto (le disgrazie accadono), ma tutto avrebbe avuto un senso diverso.

Dicevo che siamo in un vicolo cieco.
L'unica soluzione che vedo è quella di ingranare la retromarcia.
Tornare ad una dimensione più umana, meno di massa, delle corse in montagna.

Non ho la presunzione di dettare regole agli altri.
Ma so quello che voglio fare io.
Un passo indietro.

(Fraz Rossi  Xrun)



25/03/2013


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